Non è tempo per noi

Premetto che non sono un estimatore di Andrea Scanzi, piuttosto un suo, il più delle volte critico, lettore occasionale. Già la sua affezione a Gaber apre con lui un contenzioso già chiarito in un mio precedente post su “Vi racconto Gaber” di Sandro Luporini. E poi la sua capacità di critica universale, a volte spocchiosa, e al contempo la capacità di riabilitare in un modo o nell’altro quello stesso universo, me lo rende ostico. Lo so, è un mio limite ma sono, per quanto tendenzialmente aggiornabile, un veterocomunista e non riesco a comprendere le opinioni al di fuori di un senso di appartenenza, culturale o politico che sia.

Non-è-tempo-per-noiAvevo già provveduto ad una preventiva attività propedeutica al viaggio tra i gironi dell’inferno generazionale con la lettura dello splendido “Gli sdraiati” di Michele Serra. Ma non mi bastava: dovevo compensare il presunto fastidio della lettura di Scanzi con qualcosa che ne controbilanciasse gli effetti ed ho optato per “Il desiderio di essere come tutti” di Francesco Piccolo. Un libro che, pur non aderendo appieno alle tesi dell’autore, mi ha permesso di condividerne storia, esperienze, retroterra politico e generazionale con una certa soddisfazione.
Quindi, sia pure con evidenti riserve, ho iniziato a leggere “Non è tempo per noi”.

Debbo dire che, inaspettatamente, la lettura è risultata gradevole e la scrittura brillante.
I totem della generazione degli anni ’80 sono ben individuati ed i paragoni, ad esempio musicali, con i riferimenti della generazione precedente, azzeccati e condivisibili:
“Rimpiango quel tempo, perché c’era più aria di rivoluzione nel kazoo del primo Bennato, nell’ukulele del figlio unico Rino e nei ritratti di donna del monumentale Ivan che in tutta la discografia sbobbosa di Vecchioni, ma pure nell’aura cripticamente pensosa del Principe De Gregori, non ancora montiano deluso ma già allora diversamente simpatico e politicamente assai sdrucciolo”.
E Scanzi continua ad attraversare i riferimenti di questa generazione anche in ambito cinematografico:
“Compagni di scuola era più dolente de Il grande freddo. È un Verdone senza speranza, che soppesa il fallimento morale di una generazione che non solo ha perso, ma ha pure fatto abbastanza schifo. Onorevoli per nulla tali, mariti pavidi, ricchi cafoni, paralitici finti e straccioni veri”.
Scanzi definisce un quadro emblematico di una generazione, quella dormiente e di mezzo, cresciuta nella moderazione culturale e politica, senza le pulsioni che hanno accompagnato la formazione delle generazioni precedenti, “quasi” pronta alla partenza ma forse già arrivata al capolinea.

La generazione dei Renzi, dei rottamatori, pronti all’adesione al nuovo più per la forma che per il contenuto, formatasi a cavallo tra un anacronistico walkman ed un irrinunciabilmente moderno iPod. La generazione privata sia dell’appartenenza al vintage che a quella tecnologica. La generazione statica che ha perso un treno, quello del 1992 e di Tangentopoli, quando la generazione di mezzo, nata negli anni ’70, aveva venti anni e l’opportunità di aprire un nuovo corso. Una generazione insomma, piagnona e spettatrice.

L’autore passa poi ad analizzare, o almeno a tentare di farlo, le motivazioni sociali e politiche che hanno prodotto il torpore degli attuali quarantenni:
“I nati nei Settanta non hanno avuto a prima vista eventi che li hanno travolti. Una fortuna immensa, sia chiaro. Rimpiangere gli anni di piombo sarebbe folle. Ogni giorno si rischiava la vita. Ma quella tensione e quell’aria, in qualche modo, ti costringevano a una presa di coscienza intesa non solo come fatto privato ma anche come rapporto dialettico con la sfera pubblica; con l’anelito alla rivoluzione; con l’indignazione. E invece noi no. In qualche modo cullati e avvolti da un eccesso di pacificazione apparente, di guerra civile fredda, come l’ha chiamata Luttazzi, che da un lato ci cresceva pasciuti e dall’altro ci anestetizzava le coscienze”.

Il libro continua ricordando ciò che ha “sfiorato” la generazione del quarantenni: la caduta del Muro, le Torri gemelle, Piazza Tienanmen. Esperienze occorse in luoghi lontani di cui questa generazione ha vissuto le emozioni per interposta persona. O quello che Scanzi chiama il “Pantheon ludico”, ricordando i morti di questa generazione: Troisi, Cobain, Buckley, Senna, Pantani… Tutti legati al mondo sportivo o musicale e non politico.
Una generazione insomma che nel suo raffazzonato equilibrio, nella sua vita da mediano, non ha prodotto in nessun ambito (sia politico, musicale o letterario) alcunché di sconvolgente. Che non ha avuto neanche l’opportunità di vincere o perdere perché non ha avuto l’occasione di combattere.

Scanzi passa poi ad una carrellata dei più rappresentativi “cazzari” della sua generazione, contestualizzandone valori e demeriti senza sconti; affronta il tema dei rapporti di coppia in relazione alla “emancipazione” femminile ed all’avvento dei social network; l’assioma del buon Lorenzo e del Jovanottismo, la mutazione dei rapporti genitori figli; per passare poi all’analisi del fenomeno Fonzie Renzi in Pieraccioni e cercando le motivazioni di una adesione ad un personaggio che certo con non poche difficoltà è possibile collocare nella sua area politica e la cui ambiguità e capacità di indorare la pillola rappresenta una tragica espressione di una generazione che, sin dal compimento dei diciotto anni, si è trovata con l’anomalia berlusconiana nel suo panorama elettorale.

Obtorto collo debbo ricredermi e riconoscere che questo libro di Scanzi è davvero interessante ed acuto, capace di restituire tanta ironia e qualche momento di commozione, nel rappresentare con serena rabbia le occasioni perdute della sua generazione. Una generazione che di fronte al sostanziale suicidio della sinistra, i girotondi, l’avvento del grullismo, ha avuto più occasioni di trovare riferimenti politici tra i satirici migliori (cit. Corrado Guzzanti e simili) che nei leader politici. Una generazione che ha anche il difficile compito, per citare Michele Serra, di raccogliere la pesante eredità della vecchia classe dirigente del nostro Paese ormai nella sola condizione di abdicare.

Alla fine, questo viaggio nell’inferno delle generazioni, mi è proprio piaciuto.

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