Quella dei “Treni della felicità”, così definita dall’allora Sindaco di Modena Alfeo Corassori, fu una iniziativa promossa dall’Unione Donne Italiane e dal Partito Comunista Italiano nell’immediato dopoguerra, tra il 1945 ed il 1947.
La guerra dapprima e i bombardamenti angloamericani nel prosieguo, avevano prodotto la devastazione dell’Italia che visse in quegli anni una profonda emergenza legata tanto all’esigenza di ricostruzione materiale del paese che a quella di ricostruzione culturale ed umana del suo tessuto sociale.
Una iniziativa encomiabile che vide ospitati in Emilia Romagna, in Toscana ed in Liguria oltre settantamila bambini del centro e del sud Italia, nell’intento di allontanarli seppure temporaneamente dall’assoluto disagio che vivevano nelle loro terre d’origine.
Questa situazione produsse talvolta il trasferimento definitivo dei bambini inseriti nelle nuove famiglie, talvolta un rapporto allargato e duraturo tra famiglie di origine ed acquisite, consentendo spesso ai bambini di avere prospettive che non avrebbero mai potute avere.
Questa esperienza, spesso poco ricordata, ebbe luogo nonostante le campagne denigratorie e dissuasive del mondo ecclesiastico sotto il pontificato di Pio XII che, nonostante il valore solidale ed umano dell’iniziativa, la disincentivava diffondendo l’idea che i bambini sarebbero stati trasferiti in Unione Sovietica e/o a lavorare in Siberia.
Viola Ardone, scrittrice ed insegnante di italiano e latino nata a Napoli 1974, con il suo libro “Il treno dei bambini” ripercorre quell’esperienza, seppure in forma romanzata, con assoluta fedeltà storica. Lo fa attraverso gli occhi del suo protagonista, il bambino Amerigo Speranza, che viene amorevolmente accolto da una dirigente del Partito Comunista e dalla famiglia di una sua cugina. Lo fa senza trascurare i conflitti e le difficoltà altalenanti che assillano il protagonista diviso negli affetti e nelle prospettive di vita tra due realtà difficilmente conciliabili.
Lo fa senza retorica ma con onestà d’animo e con una umanità per molti di noi ormai più sconosciuta che dimenticata.
Cito uno stralcio della sintesi del libro tratta dal portale dell’editore:
“Con lo stupore dei suoi sette anni e il piglio furbo di un bambino dei vicoli, Amerigo ci mostra un’Italia che si rialza dalla guerra come se la vedessimo per la prima volta. E ci affida la storia commovente di una separazione. Quel dolore originario cui non ci si può sottrarre, perché non c’è altro modo per crescere”