Parlano gli immigrati costretti a fuggire dal paese
di Massimiliano Perna
Sudore e sangue, polvere e stanchezza, i segni di una ferita profonda solcano l’anima di chi da Rosarno è dovuto scappare, lasciando tutto, compresi i soldi guadagnati con fatica, con sacrificio, sopportando qualsiasi dolore, resistendo ai morsi sferrati da una dignità mai smarrita. È tutto ciò che gli immigrati fuggiti dal linciaggio di Rosarno si portano addosso, trascinando la propria delusione insieme al loro povero carico di valige, borsoni, zaini, buste di plastica. In tv passa la notizia che sono stati interamente trasferiti in vari centri di accoglienza, primo fra tutti quello di Crotone, ma non è vero. Solo una parte è stata trasferita, gli altri, la maggioranza, sono andati via, sono partiti in treno per raggiungere altre mete, in cui ricominciare tutto, trovare un tetto, un lavoro a qualsiasi condizione, perché lavoro significa denaro e il denaro, per chi non ha nulla e si trova da solo in un Paese straniero e per giunta ostile, vuol dire vivere o sopravvivere. Brescia, Milano, Livorno, Napoli, Foggia, Siracusa, queste sono alcune delle nuove destinazioni in cui i treni conducono queste masse stanche di lavoratori, dopo l’incubo vissuto in Calabria. A Siracusa ne sono arrivati una trentina: alcuni perché, a breve, hanno l’appuntamento, fissato da tempo, con l’ufficio immigrazione della questura, altri perché a Siracusa conoscono un luogo che li ha già aiutati e gli ha dato ristoro in passato, vale a dire la parrocchia di Bosco Minniti, una “chiesa che è un portone aperto sulla strada, in cui chiunque può entrare e trovare riparo e accoglienza”, come sottolinea da sempre il parroco, padre Carlo D’Antoni. […]