L’articolo recentemente pubblicato, a firma Giovanni Moro, mi spinge a riflettere sui commenti dei vari pretesi opinionisti.
Non mi interessa molto la battaglia di bassa lega delle destre che, stupite da piazze che non si accodano, cercano qualunque criterio di denigrazione per compensare il colpo.
Non mi interessano neanche le posizioni del pDC, un partito che non incarna nessuna delle mie sensibilità ma che, in verità, si è limitato ad opinioni sobrie e non martellanti.
Ciò che invece mi preoccupa è la valanga di opinioni, spesso negative e sempre coronate da una pretesa lungimiranza che già assegna un ruolo, uno scopo e qualche oscuro accordo ad una piazza cui dovrebbe invece assegnare il solo merito di aver risvegliato numerose coscienze sopite.
Perché, storicamente, le piazze sono sempre state il luogo di espressione del dissenso e non della creazione di un soggetto politico.
Questo ruolo appartiene a quelle forze organizzate che si attribuiscono la definizione di partito, che dovrebbero – e sempre più raramente lo fanno – percepire i malesseri espressi dalle piazze, rappresentarli e promuoverli.
Sembra invece che a sinistra si pretenda che questa inaspettata novità possa colmare le incapacità politiche ampiamente dimostrate in trent’anni, dalla caduta del muro ai giorni nostri. Sembra che ci si aspetti una condivisione di obiettivi auspicabile ma mai realizzata, che non riesce a coinvolgere come un tempo e che riesce a trovare misero riscontro solo nelle tornate elettorali. Una sinistra che, con ridondanza di anziani della mia generazione, in questi trent’anni, non è stata in grado di aggiornarsi, di leggere un mondo cambiato, di proporre un metodo alternativo ai suoi ricordi per rendere appetibile e contestualizzare il suo progetto. Non intendo mettere in discussione un sistema valoriale in cui credo e che mi ha sempre accompagnato ma piuttosto il metodo e la presunzione di quei miei coetanei che ritengono il loro passato l’unica strada perseguibile e corretta.
La mia generazione può ritenersi fortunata per le conquiste e i risultati a suo tempo raggiunti. Ma deve anche tener conto di aver vissuto un periodo favorevole: i movimenti di rivolta in tanti paesi, una cultura sociale radicata, un movimento operaio combattivo, un movimento studentesco sensibile. Oggi quel periodo è purtroppo finito ed è stato annullato, anche per nostra colpa, quel radicamento culturale di cui una sinistra seppure non maggioritaria poteva farsi vanto.
Molte cose sono cambiate: certo, ci sono ancora sfruttati e sfruttatori, ma sono cambiate le categorie sociali, sono cambiati i bisogni, è cambiato il lavoro, sono cambiati linguaggi e informazione ed è cambiato un modo di fare politica che ha trasformato temi complessi in slogan demagogici e sintesi d’impatto, nel tentativo di “costruire” consenso e assicurarsi permanenza al potere.
Un certo uso delle tecnologie ha consentito, nel bene e nel male, una rapida e radicale trasformazione. Ma, mentre il capitale utilizzava le tecnologie per trarre profitto e condizionare le coscienze, la sinistra della mia generazione – dura, pura e certa del suo successo – ignorava e “resisteva” ai nuovi linguaggi, non li reinterpretava ignorando quanto di positivo c’era, ad esempio, nella distribuzione delle informazioni, dimostrando un imbarazzante ritardo nella comunicazione con ciò che la circonda.
Bisognerebbe forse, con umiltà, smettere di ritenersi protagonisti di questo tempo senza rendersi conto di essere reliquie del passato e che vere protagoniste sono le generazioni successive, con le quali non siamo ancora riusciti a stabilire un confronto proficuo né a fare azione di coinvolgimento sui temi e sui valori di cui vorremmo essere portavoce.
Credo in sostanza che la sinistra della mia generazione, nonostante il tempo passato, non sia ancora riuscita ad “elaborare il lutto”. E questo rappresenta un ostacolo evidente a raccogliere le novità e a confrontarci con nuove sensibilità.
Per diventare forze egemoni è necessario spogliarsi di riferimenti e preconcetti che non consentono di ascoltare e comprendere questo nuovo contesto e queste nuove dinamiche. Il naufragio e l’autoestinzione di nuove opportunità come quella del progetto del “Brancaccio” o di “Potere al Popolo” sono solo alcune delle reiterate conferme di questo autolesionismo, ed altre ne abbiamo avute in passato.