https://youtu.be/ozd9nPo_VAk
Farrokh Bulsara nacque a Stone Town e trascorse l’infanzia nella sua terra d’origine, l’isola di Zanzibar, 25 km al largo della costa della Tanzania. I suoi genitori, Bomi e Jer Bulsara erano originari del Gujarat (stato dell’India occidentale), ma avevano dovuto trasferirsi in Africa a causa del lavoro del padre, cassiere della Segreteria di Stato per le Colonie. Quest’ultimo era un praticante di un derivato dell’antica religione zoroastriana. La famiglia era completata dalla sorella minore di Farrokh, Kashmira.
Nel 1954, all’età di otto anni, fu mandato al collegio scolastico del St. Peter’s Boys School, a Panchgani (Mumbay, in India) e fu proprio in questo luogo che Farrokh iniziò ad essere chiamato Freddie. Oltre a possedere un notevole talento artistico (era un ottimo disegnatore), Mercury eccelse anche nello sport: fu infatti un abile velocista e pugile, raggiungendo buoni risultati anche in altre discipline sportive come l’hockey su prato, il cricket e il tennis tavolo. Durante la permanenza al collegio, ebbe anche la sua prima esperienza musicale: formò infatti insieme ad altri quattro compagni la band dei The Hectics, che si esibiva durante feste o eventi scolastici e di cui Freddie era il pianista. […]
Dimostrò sin da bambino particolare interesse per la musica e crebbe ascoltando le sonorità orientali della cantante Lata Mangeshkar, che Mercury poté ammirare dal vivo durante il soggiorno in India. Dopo lo spostamento a Londra, iniziò a conoscere la musica dei maggiori artisti inglesi del periodo, come Jim Croce, Elvis Presley, Jimi Hendrix, John Lennon e delle band dei Led Zeppelin, The Rolling Stones, The Who, The Beatles. Freddie era attratto anche dalla cantante e attrice Liza Minnelli; in un’intervista dichiarò: «Una delle mie prime influenze artistiche fu Cabaret. Adoro Liza Minnelli, il modo in cui interpreta i suoi brani è pura energia».
Mentre lavorava presso alcuni periodici di Kensington, si unì agli Ibex di Liverpool: tale gruppo cambiò in seguito nome in Wreckage, ma si sciolse con l’arrivo degli anni Settanta. Farrokh rispose allora a un annuncio dei Sour Milk Sea, che stavano cercando un cantante. Avendolo sentito in prova, gli altri membri del gruppo restarono impressionati dalla sua voce e lo ingaggiarono, facendolo cantare in alcuni concerti ad Oxford. Dopo questa esperienza il nuovo cantante decise di seguire la band dell’amico Tim Staffell, gli Smile, dandogli anche alcuni consigli su come eseguire una buona rappresentazione nei concerti. Non molto tempo dopo, Tim Staffell lascerà gli Smile, accettando un’ottima offerta di un altro gruppo: gli Humpy Bong. […]
Con lo scioglimento degli Smile e il contemporaneo fallimento dei Wrackage, Roger, Brian e Freddie si ritrovarono e decisero insieme di formare un nuovo gruppo. Fu proprio il cantante di Stone Town che, dopo essersi appropriato del nome d’arte di Freddie Mercury (in onore di Mercurio, messaggero degli dei che successivamente sarebbe stato citato in My Fairy King), scelse il nome della neo-band: Queen. […]
Per volere di Freddie, la prima decade dei Queen fu caratterizzata dalle stravaganti esibizioni che talvolta sfociarono in spettacoli teatrali: fu questo il periodo in cui Mercury e May si presentarono ai concerti truccati e vestiti totalmente in bianco e nero, in cui il frontman chiuse i live lanciando rose agli spettatori, brindando con loro e intonando l’inno nazionale del Regno Unito, God Save the Queen e in cui lo stesso cantante apparve con l’aspetto di un motociclista, abbigliato con giubbotto di pelle nera, indossando da contrasto le scarpe dette “ballerine”. Il rapporto con i mass media, sin dalle origini, si rivelò pessimo. In particolare la stampa inglese definì il primo lavoro del gruppo, l’album Queen, «rock da supermercato», ventilando un plagio degli stessi nei confronti dei Led Zeppelin. Fu così che le interviste di Freddie si fecero sempre più rare. Di contro si strinse un forte legame con il pubblico, colpito dall’entusiasmo e dall’energia con cui la band li coinvolgeva direttamente durante le apparizioni dal vivo.
Durante l’incisione dell’album Queen, Mercury cantò nei singoli I Can Hear Music e Goin Back (rispettivamente cover delle originali dei The Ronettes e di Dusty Springfield) sotto lo pseudonimo di Larry Lurex, peraltro coadiuvato dagli stessi May e Taylor con i loro rispettivi strumenti.
A cavallo tra gli anni settanta e gli anni ottanta portò avanti un progetto-solista ben più continuo, grazie a cui pubblicò due album studio e vari singoli. Anche se il successo riscontrato non fu paragonabile per vendite a quello ottenuto con i Queen, i due dischi e alcuni brani contenuti in essi riuscirono a entrare nella top ten della UK Albums Chart e della UK Singles Chart. La prima fatica fu Love Kills (1984), tra le colonne sonore nel rifacimento della pellicola di Fritz Lang Metropolis. Scritta a due mani con il compositore italiano Giorgio Moroder, raggiunse la decima posizione nella classifica britannica.
I due dischi da solista sono Mr. Bad Guy (1985) e Barcelona (1988). Il primo è un album pop caratterizzato anche da sonorità disco e dance. Barcelona invece fu registrato con il soprano spagnolo Montserrat Caballé e non poté che risentire di tale collaborazione; l’album combina elementi della musica popolare a elementi propri della lirica, con forti influenze rock. […]
Il 1976 segna un’altra importante svolta nella sua carriera musicale e nella sua vita privata: Mercury, probabilmente conscio di non essere totalmente eterosessuale, trasforma il suo rapporto di amore e passione con Mary Austin in un rapporto di amore fraterno. Nemmeno i suoi genitori sono al corrente della sua bisessualità: quando sono in visita nella sua casa a Garden Lodge, Mercury chiama sempre Mary per creare un’atmosfera di normalità agli occhi dei genitori.
Mary Austin gli rimase vicino fino all’ultimo, occupandosi di lui, costretto a letto dalla sua malattia. Secondo dichiarazioni da lei rilasciate, Mercury andava a trovarla frequentemente sul posto di lavoro, e prima di trovare il coraggio di chiederle di uscire passarono cinque o sei mesi. Mercury conobbe la Austin perché amica di Brian May: gli venne presentata durante una discussione che lui ebbe con May riguardo al nome da dare al gruppo. Mary Austin è sempre stata messa in cattiva luce da molti amici di Mercury,[senza fonte] soprattutto dopo che egli le lasciò la metà del suo patrimonio, facendole ereditare così oltre quattro milioni di sterline (come testimonia il testamento dell’artista); Mary Austin inoltre ereditò da Mercury la sua casa a Londra, nella quale andò ad abitare. Molti collaboratori del cantante, tra i quali il giardiniere Jim Hutton, che fu anche l’ultimo amante di Freddie Mercury, furono così costretti ad abbandonare la dimora di Garden Lodge. Nonostante i dissapori con alcuni amici gay dell’artista, Mary Austin fu una presenza costante nella sua vita, partecipando spesso alle tanto amate feste organizzate da Mercury.
Nel 1980 Freddie si mostrerà al pubblico con un look vistosamente differente: capelli corti e baffi, secondo il look detto “clone”, come a segnare una rottura con il passato. Il 1981 sarà un anno di transizione, la vita pazza e sregolata di Monaco mette a dura prova la sua persona e alcune sue amicizie. Le sue feste erano sempre dei grandi eventi in maschera, dove si mischiavano molte diversità sessuali in modo molto aperto (come si vede nel video di Living On My Own, ambientato a Monaco durante il trentanovesimo compleanno di Mercury all’Henderson’s Club).
Dopo una parentesi solistica con l’album Mr. Bad Guy (suo pseudonimo), che non ottenne molto successo, tornò a lavorare con i Queen, vivendo liberamente la propria bisessualità, spesso schernendo gli intervistatori che gli chiedevano se fosse gay, a volte negando e altre volte ammiccando e dicendo frasi come “sono gay come una giunchiglia”. Insomma: non ammise mai apertamente di essere in parte omosessuale, ma non fece nulla per smentirlo. I Queen girarono un videoclip in cui lui e tutti i componenti dei Queen apparivano provocatoriamente travestiti da donne (la proposta originale fu di Roger Taylor, il batterista, da un’idea della sua ragazza ispirata da una soap opera: Coronation Street). Mercury smentì però la connotazione omosessuale del video con questa frase: “Ma il travestimento del video di “I Want to Break Free” non è affatto una dichiarazione di appartenenza gay; se avessi fatto una cosa del genere, la gente si sarebbe messa a sbadigliare. Mio Dio, guarda Freddie che dice di essere gay perché è una cosa di moda.” […]
Nel 1987 aveva ormai abbandonato la sua vita attiva. Infatti, non partecipò più a concerti, asserendo che un uomo di 40 anni non poteva saltare con una calzamaglia indosso. Alcune testate scandalistiche cominciavano a sospettare che Mercury fosse effettivamente malato.
Si fecero sempre più rare le apparizioni pubbliche, quasi nulle, ed egli visse sempre più nella sua villa di Earls Court (Londra). Mercury nascose il terribile segreto della sua malattia anche agli altri membri dei Queen, per evitare che si potessero preoccupare per lui, impedendogli di cantare.
Il canto, infatti, era la cosa che più gli dava sollievo, e così dal Regno Unito si trasferì in Svizzera a Montreux, dove acquistò un appartamento, la Duck House, e dove incise alcune tra le più famose canzoni dei Queen. Cantò quasi fino alla fine, spesso facendosi pregare di smettere dagli altri componenti del gruppo, ma la musica e i suoi fans erano le cose più importanti per lui. La sua ultima apparizione in pubblico fu nel video della canzone These Are The Days Of Our Lives, tratta dal suo ultimo album con i Queen, Innuendo; nelle immagini, il cantante appare molto dimagrito, con le occhiaie, con un vestito elegante e senza più i suoi celebri baffi. In questa ultima apparizione, le ultime parole del video sono “I still love you” (“Vi amo ancora”), un segno del suo affetto per tutti i fan sparsi nel mondo, che non sanno nulla riguardo le sue condizioni di salute.
Rientrò in Inghilterra due settimane prima della fine (come confermato da David Richards al Freddie Mercury Memorial Day, a Montreux, nel 2005), per stare vicino ai suoi cari.
Dalle parole del compagno Jim Hutton, nella primavera del 1987 fu diagnosticato a Mercury il morbo dell’AIDS, sebbene il cantante proprio in quel periodo avesse dichiarato di essere risultato negativo al test. Nonostante le smentite, la stampa britannica seguì i sempre più numerosi rumour sulla malattia dell’artista, alimentati dall’aspetto particolarmente asciutto, dall’improvviso stop dei tour dei Queen e dalle confessioni di alcuni ex-amanti pubblicate sulle pagine dei tabloid.
Il 22 novembre 1991 Mercury convocò nella sua casa di Kensington il manager dei Queen Jim Beach per redigere un comunicato ufficiale. Il giorno dopo, il 23 novembre, fu fornito alla stampa il seguente annuncio:
« Desidero confermare che sono risultato positivo al virus dell’HIV, ho contratto l’AIDS. Ho ritenuto opportuno tenere riservata questa informazione fino a questo momento al fine di proteggere la privacy di quanti mi circondano. Tuttavia è arrivato il momento che i miei amici e i miei fan in tutto il mondo conoscano la verità. Spero che tutti si uniranno a me, ai dottori che mi seguono e a quelli del mondo intero nella lotta contro questa tremenda malattia »
A poco più di 24 ore dal comunicato, Mercury morì il 24 novembre 1991 all’età di quarantacinque anni. Causa ufficiale del decesso fu una broncopolmonite fomentata dall’AIDS. I funerali furono celebrati da un sacerdote zoroastriano; presenti tra gli altri alla cerimonia John Deacon, Brian May, Roger Taylor, Elton John e David Bowie. Il corpo fu cremato al Kensal Green Cemetery.
Nel testamento il cantante affidò la maggior parte dei suoi beni all’amica Mary Austin, mentre il resto del patrimonio fu diviso tra i genitori e la sorella. Inoltre lasciò 500 mila sterline allo chef privato Joe Fanelli, 500 mila all’assistente personale Peter Freestone, 100 mila all’autista Terry Giddings e 500 mila a Jim Hutton. Mary Austin continuò a vivere a Kensigton con i genitori di Mercury alla Garden Lodge; Hutton si trasferì quattro anni più tardi in Irlanda, dove dimora tutt’oggi. Quest’ultimo collaborò nella stesura di una biografia del 2000 dal titolo Freddie Mercury, the Untold Story e concesse un’intervista al The Times in ricordo del 60° compleanno del suo compagno.
(fonte Wikipedia)