Ho avuto proprio oggi il piacere di partecipare alla visita guidata dei Gasometri di Roma Ostiense. Organizzata da Alessandro Rubinetti con il contributo di Daniele Bosi, Responsabile Relazioni Esterne Snam-Italgas, memoria storica dei gasometri di Roma e noto bluesman.
Ricordo che sin da bambino i gasometri di via Ostiense, come quello insistente nella zona della Tiburtina e visibile dalla A24, esercitavano su di me un grande fascino. Passavo spesso vicino a quello della Tiburtina e vederlo salire o scendere nella sua gabbia era motivo di grande emozione nei confronti di un gigantesco e fantascientifico oggetto. Va da se quindi, che è sempre stato un mio desiderio quello di vederli da vicino, di conoscerli.
Non credevo però che una visita ad architetture ormai collocabili nell’archeologia industriale nascondesse tanti risvolti storici ed umani.
In origine questi impianti erano destinati alla sola illuminazione pubblica. Il gas veniva prodotto dalla distillazione del carbone che, attraverso vari processi, veniva raccolto nei gasometri per fornire alla città di Roma l’energia necessaria.
I gasometri, ormai privi di acqua e delle essenziali campane telescopiche, sono stati in parte ristrutturati, zincati e destinati ad altre attività di Italgas, che si occupa ormai della sola distribuzione del metano.
Le Officine, collocate fino alla fine dell’800 in via dei Cerchi, tra il Circo Massimo e la via Flaminia, vennero trasferite agli inizi del ‘900 nella zona del Porto Fluviale, dove attualmente, seppure dismessi, ancora insistono.
La scelta di ubicare nella zona l’Officina era di carattere strategico: la presenza della ferrovia e del Tevere facilitavano il trasporto dei materiali, l’altitudine di 10 mt. sul livello del mare la rendevano ideale all’installazione.
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L’impianto, iniziato nel 1908 su progetto di Ulderico Bencivenga, divenne attivo nel 1911 e, con il suo insediamento, cominciò a nascere il quartiere oggi denominato della Garbatella. Fino a quel momento non erano presenti nella zona edifici abitativi. Le attività condotte nell’impianto erano pesanti ed usuranti, tanto che tra le voci retributive, apparivano anche delle indennità per latte ed acqua. Coloro che lavoravano nell’impianto provenivano da altre regioni e, talvolta, erano ex detenuti che venivano assoldati con l’opportunità di un lavoro “dignitoso”. L’Officina era di fatto una piccola città dove chi vi lavorava passava lì anche il resto del suo tempo in condizioni molto approssimative, dormendo come e dove capitava, approvvigionandosi di ciò che serviva grazie al piccolo commercio che, in conseguenza della loro presenza, cominciò a svilupparsi. Elevatissimo l’indice di mortalità dovuto alla continua esposizione dei fuochisti alle esalazioni nocive. Solo successivamente cominciarono a sorgere i primi manufatti abitativi e con loro il quartiere.
Intanto il gas prodotto, inizialmente destinato alla sola illuminazione pubblica, inizia ad essere utilizzato anche per usi domestici e di forza motrice, ed accordi Hitler/Mussolini ne enfatizzano e propagandano l’utilizzo.
Negli anni ’60 inizia una parziale riconversione: l’avvento delle prime stufe e caldaie, l’arrivo dei gas di petrolio liquefatti e del metano, rendono superati gli impianti che vengono via via dismessi.
La visita si snoda fra tutte le aree del complesso non trascurando alcuna struttura per terminare all’interno del terzo gasometro, con piacevoli intermezzi tratti da scritti di Pier Paolo Pasolini letti da Alessandro Rubinetti e memorie ed aneddoti raccontati da Daniele Bosi.
Una visita da non perdere come tutte quelle organizzate da Alessandro.