«Sono tanti anni che seguo la politica molto da vicino, è il mio lavoro. Non avevo mai vissuto, tuttavia, niente di simile a quello che stiamo vivendo. Un disorientamento così assoluto, una perdita repentina di ogni punto di riferimento».
E’ così che Concita De Gregorio apre il suo nuovo libro. Un titolo significativo che prende spunto dalla lapide fatta affiggere da Peppino Corisi, operaio comunista e sindacalista dell’Ilva, morto di tumore ai polmoni, con la quale “maledice coloro che possono fare e non fanno nulla per riparare” e sulla quale è scritto, senza indicare alcun nome, “Ennesimo decesso per neoplasia polmonare”.
E’ lo spaccato di un’Italia davvero miserabile. Non nei personaggi dei racconti che hanno ciascuno dignità da vendere, ma per la situazione di irreversibile decadenza che si percepisce attraverso i racconti.
Elemento trascinante l’impotenza di un popolo nei confronti di questa nostra falsa democrazia e l’incapacità di modificare il corso delle cose. Come se tutta la rabbia espressa dai personaggi fosse sopita e incanalata in percorsi sempre più controllati dal potere e dal sistema. Una rabbia sempre più innocua.
Significativo il riferimento ai socialnetwork dove, per illudersi di partecipare, è sufficiente fare un click su “mi piace” o condividere un elemento o nascondere la notizia non gradita.
Ci si illude così di partecipare mentre ci si ghettizza in un ambito che impedisce qualunque partecipazione reale. Un fenomeno associato generalmente alle nuove generazioni ma di cui le vecchie, quelle sconfitte, quelle che hanno collaborato a costruire questo deserto dello sconforto, non sono immuni.
Sia ben chiaro che la rete è anche strumento di sollecitazione delle coscienze e non di rado canale di organizzazione del dissenso ma troppo spesso è anche espressione di una rabbia inconcludente e quasi arrotolata su se stessa.
Torna alla mente la “Libertà” di Gaber quando dice “libertà è partecipazione”. Il testo originale della canzone recitava in realtà “libertà è spazio di incidenza ” e solo questioni di metrica ed opportunità discografica hanno semplificato il concetto. Ma proprio di questo si tratta: della totale incapacità di condizionare la realtà e di produrre un vero cambiamento.
Un paese rassegnato la cui rabbia si sublima in modo sgangherato, ovattato, a volte violento, del tutto personale e mai rivoluzionario. Un paese abituato a tutto che non crede più a nulla.
Passano così sulle nostre
teste le stragi impunite, i suicidi per debiti e usura, le morti bianche di qualunque tipo, i drammi psicologici e comportamentali dei giovani, la precarietà e l’assenza di prospettive.
Tutto si diluisce in una afona ribellione interiore senza raggiungere il minimo obiettivo. Come se tutto questo fosse un prezzo inevitabile dovuto al nostro tempo.
Una serie di toccanti racconti simbolo di questo tempo, lontani da una idea di giustizia sociale e molto prossimi alla miseria umana, alla sua solitudine, all’incapacità di reagire e di sperare.