L’anno perduto tra Berlusconi e Monti di Rossana Rossanda
15/12/2012
E’ bastato che Silvio Berlusconi si riaffacciasse sugli schermi, col volto mal tirato in su – ci sono limiti, non fosse che d’età, al rifacimento dei tratti – perché l’Italia corresse a rifugiarsi sotto l’ala di Mario Monti. O l’uno o l’altro, tertium non datur. Non sono la stessa cosa, come suggerisce Alberto Burgio, anche se la rotta che indicano è sempre “a destra tutta”, ma da tempo gli italiani sembrano disabituati a pensare che la distinzione fra destra e sinistra abbia ancora senso. Oggi non ci sarebbe che “quella” rotta, indicata dalla prevalenza del finanzcapitalismo, come lo chiama Luciano Gallino, assai pudicamente corretta dal recente vertice europeo – ma la strizzatina d’occhio agli evasori fiscali, il primato agli interessi privati come metodo di governo e di vita, qualche battuta antieuropea e finto popolare – “lo spread? chi era costui? – un certo plebeismo considerato spiritoso si riconosce in Berlusconi come in Grillo e simili. Non hanno del tutto torto all’estero a vederci come una perpetua commedia dell’arte, Pulcinella o Arlecchino vincenti sulla stoltezza altrui. E quella metà della gente che non predilige la furbizia si rivolge a una figura che appare più frequentabile per costumi e decenza.
Stiamo perdendo troppo tempo. Tertium non datur perché non esiste una sinistra sufficientemente forte per darsi una politica convincente e diversa dal rigore. Eppure non è cadere dalla padella del cavaliere di industria nella brace del liberista tutto d’un pezzo. Sono ormai tante le voci degli esperti che avvertono: su questa strada l’Europa del sud sta cadendo in un buco sempre più profondo, in una crisi di società sempre meno agibile. Si ha un bel rosicchiare sulle spese pubbliche, anche con più energia ed equità di Monti, finché non ci sarà una svolta nell’economia l’impoverimento del novanta per cento della gente continuerà fino a limiti insostenibili. Già lo sono: la percentuale dei disoccupati nel continente, più che raddoppiata per i giovani in cerca di impiego, pesa come un macigno. Attorno ai quattro milioni dichiarati in Francia e più che presunti in Italia, con almeno altrettanti precari e lavoro al nero, specie di donne e stranieri, è meta delle forza di lavoro che vacilla o già si trova sotto il livello di povertà. La spugnosità dell’Italia degli anni ’70 e ’80 non esiste più, lo scarto fra redditi da lavoro e da patrimonio, mobiliare o immobiliare, svolazzante sui mercati mondiali, si è invertito a favore dei secondi e non c’è traccia della lucetta che Monti diceva di intravvedere già in fondo al tunnel. Gli indici di crescita dell’Europa, già assai bassi, non accennano che a diminuire e perfino il Fondo Monetario Internazionale avverte: attenti, se non crescete state andando nel baratro.
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